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Distress

beniaminl
rasta, distress, olio su tela, 20x20 cm 2017.jpeg

Distress

la mostra

beniaminart
noto

rasta
mostra personale
a cura di paolo greco
museo civico, (noto) italia

28 luglio-09 settembre 2018

È nel pensiero che Heiddegger dipana in Essere e Tempo che risiede la scaturigine di Distress, il viaggio dentro l’angoscia che la giovane artista iraniana Rasta Safari ha percorso affamata di senso e assetata di sguardi, attraversando una nebbia silenziosa, oscura e compatta quel «velo di Maya» desunto dall’antica tradizione persiana  che copre tutte le cose, ogni individuo, spaesandoli e precipitandoli nel caosmos indifferenziato della contemporaneità.
Di questo viaggio Distress è il resoconto lucido, disarmato, dolente.
Ogni dipinto costituisce la narrazione, il referto espugnatI a un silenzio tragicamente preter-intenzionale  di ciò che è l’«innominabile attuale», nel tentativo, che risulta vano, di uscire dall’incubo della Storia.
Il riconoscimento di uno stato di caduta  in senso gnostico  in cui versa l’umanità, e l’anelito al ricupero di una origine resa accessibile dall’esperienza dell’arte costituiscono, nel loro intrecciarsi, il basso continuo che soggiace a questa mostra criptica, allusiva, impreziosita da rimandi cogenti alle esperienze più ardue dell’arte secentesca e proto novecentesca ma anche alle sintesi più singolari del figurativismo odierno  che l’artista suscita e rianima nella sua lenta e studiata «ruminazione» formativa innestandoli su un fertile, inquieto e vitalissimo humus di esperienze, di conoscenze, di sollecitazioni.
Distress racconta la condizione di apolide, o di clandestinità, in cui versa l’umano, una moltitudine desiderante che vaga nella Storia, senza la nostalgia di una patria perduta, privata della consolazione del nostos, di ogni possibilità di redenzione e di riscatto, con addosso il peso dell’antica colpa prometeica e l’agra rassegnazione dello sguardo volto verso l’altro gli altri verso l’umanità ferita di donne, di bambini: creature silenti, inermi, atterrite, abbacinate dal miraggio di un aquilone rosso, confortate dall’epifania scialba di un masso, di un ramo, di un bagliore lento e assordante, colte dall’artista nell’istante in cui la loro catabasi di migrazione e di fuga giunge all’esito definitivo, all’approdo ipogeo, limbico, e ogni certezza si tramuta in sgomento, sgretolandosi e annichilendosi.
Rasta Safari si fa cantore dell’esodo immane dei «naufraghi della globalizzazione», del loro destino di resa.
Denuncia sociale, tensione etica, accoglimento della prossimità e della diversità assunti come valore e come apertura a prospettive di solidarietà e di fratellanza innervano l’opera di Rasta Safari, che si precisa in una opposizione radicale a una realtà prestabilita da gruppi sociali egemoni poco inclini a concedere spazio alle alternative, alle possibilità, all’ineffabile poesia dell’umano che la giovane pittrice raffigura nella sua incessante peregrinatio per gli arcipelaghi e gli inferni della Storia.

Salvo Sequenzia

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